NOTA BENE: L’ASTERISCO INDICA CHE A PIE’ DI TESTO C’E’ UN
RIFERIMENTO VOLUTAMENTE MESSO DA PARTE PER NON RIVELARE NIENTE A CHI NON HA
ANCORA VISTO IL FILM
“Interstellar” è un gran bel film. Potente, evocativo,
realizzato più che bene a livello tecnico. Punto, questo è il biglietto da
visita del film, partendo dal presupposto che un biglietto da visita deve
ridursi all’osso in ciò che ha da dire.
Detto ciò, problemi e complicazioni. Il film è forse uno dei
più emotivi mai realizzati da Nolan, di solito narratore di sentimenti sì, ma
in una maniera abbastanza distaccata, scientifica, da analisi di laboratorio.
In questo lavoro invece sembra indugiare leggermente nel sentimento ma con un
piglio più hollywoodiano e populista*. Tuttavia – e questo è il paradosso che
genera l’eventuale perplessità di fronte al film – tanto calore umano eppure in
qualche modo la pellicola risulta fredda, asettica, robotica. Bella regia (del
resto è Nolan), bella sceneggiatura, bella fotografia, bella colonna sonora tra
l’altro ottimamente montata con delle inquadrature e scene suggestive come
poche (come appunto dicevo, è forse l’opera più emotiva del regista), insomma
un prodotto che piuttosto che bello è efficiente. Funziona tutto alla
perfezione. Ma pare non avere anima, nessuna o poca empatia con lo spettatore
che vede svolgersi davanti a sé 3 ore circa di un bellissimo spazio, e quindi
sostanzialmente un bellissimo vuoto punteggiato di lucine lontane.
Chissà se la passione di Nolan per un cinema sostanzialmente
cervellotico (escludendo la trilogia del suo
“Cavaliere oscuro”) non lo stia in parte privando di una certa capacità di
dialogare con lo spettatore che personalmente trovo gli sia riuscita benissimo
nell’ottimo “Inception”. Anche perché questo suo discreto feticismo per
l’infinta moltiplicazione dei piani esistenziali si nota non a caso in questa e
nell’altra pellicola, e viene quasi da chiedersi se il regista non stia – alla
fine – girando continuamente sé stesso, non per plagio ma per passione**.
Elegante e colto citazionismo (forse in parte dovuto, come
un pedaggio da pagare) al “2001” di Kubrick*** di certo non aiuta a perorare
l’originalità di alcuni momenti. La sensazione di fondo è quella di vedere un
film di fantascienza per nulla stupido o irreale, realizzato bene, che un po’
porta avanti intuizioni innovative**** e un altro po’ marcia su binari già
usati ma per l’occasione lucidati alla perfezione.
Per rendere più chiaro quanto ho intenzione di dire in
questo articolo, lasciate che vi faccia un esempio prendendo a modello Sergio
Leone, per la precisione esclusivamente la sua filmografia western. Tra i film
del genere (5 in tutto), quante volte si è assistito non a un duello (o addirittura
un “triello”) ma in generale a un personaggio che estrae la pistola sparando e
sul quale la macchina da presa pone particolare attenzione? Decine,
sicuramente. Ebbene, tra tutte queste non esiste volta in cui lo spettatore non
abbia partecipato alla scena a tal punto da dimenticarsi che la cosa l’aveva
già vista tante altre volte. Questo è quello che fa una regia empatica con il
pubblico. Viceversa, vedendo certe scene di “Interstellar” capita di rimanere
impressionati dalla stessa per circa un secondo, passato il quale si pensa tra
sé e sé “ah, questo è un po’ Kubrick, questo è un po’ “Gravity”, questo è un
po’ “Solaris” di Soderbergh”, in un giochino che sicuramente non limita la
gradevolezza del film ma forse fa sì che lo stesso non attecchisca come
dovrebbe (o come vorrebbe).
La sensazione di fondo, quindi, è quella del “è bello, ma
siccome l’ha girato Nolan doveva esserlo di più”, fermo restando che una
considerazione del genere non smuove il regista dal podio che si è
meritatamente conquistato e soprattutto non deve andare a intaccare un
bravissimo Matthew McConaughey che dopo una notevole interpretazione nel
serial-rivelazione “True detective” e una piccola ma adorabile parte (che
personalmente ho apprezzato molto) in “The wolf of Wall Street” conferma
talento e versatilità. Ragion per cui, si torna al sunto iniziale, ponendo così
un continuo e infinito rimando all’incipit di questo articolo: “Interstellar” è
un gran bel film. Potente, evocativo, realizzato più che bene a livello
tecnico. Punto, questo è il biglietto da visita del film, partendo dal
presupposto che un biglietto da visita deve ridursi all’osso in ciò che ha da
dire… (ad libitum).
(A Nolan questo infinito finale a ripetizione sarebbe
piaciuto, credo)
NOTE (CON SPOILER)
*Personalmente trovo che nel rapporto padre-figlia, così
come è strutturato nel film, ci sia abbastanza lo spettro di un “Armageddon”
versione Nolan
**La cosa è abbastanza evidente in alcuni momenti clou in cui la narrazione procede
parallela in tre mondi (e/o tre tempi) diversi sottolineata da una musica
martellante e crescente, presente in questo film ma che molti ricorderanno
assolutamente identica in una scena madre di “Inception”, appunto
***Sul dottor Mann (Matt Damon) che tenta di entrare nel portello
del modulo orbitale tramite una procedura non convenzionale non esigo dubbi: è
assolutamente identico al dottor David Bowman (Keir Dullea) di “2001” che entra
manualmente (e in maniera scientificamente impossibile) dal portello di
emergenza dell’astronave dopo che Hal ne ha bloccato l’accesso
**** La Terra che ormai – per necessità – tende a dedicarsi
al proprio sostentamento piuttosto che alla tecnologia è una visione tanto
grandiosa e inquietante quanto possibile